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COSA C’E’ DI NUOVO NEL RETINOBLASTOMA?

(Estratto dell’articolo: D. Mastrangelo, C. Loré, G. Grasso, “Retinoblastoma a an epigenetic disease”, Journal of Cancer Therapy 2011, 2, 362 – 371)

Partiamo da una prima e fondamentale domanda: qual è la causa del retinoblastoma? La risposta a questa domanda si trova nell’abbondantissima letteratura scientifica prodotta sull’argomento da 40 anni a questa parte. Esattamente 40 anni fa, Alfred J. Knudson, lavorando sui pochi dati disponibili (il suo primo e più importante articolo era basato su 48 casi!) IPOTIZZAVA, in base a dati clinici ed epidemiologici, che il retinoblastoma fosse dovuto ad una mutazione che colpiva i due alleli omologhi* di un gene di cui all’epoca non si conosceva l’identità (* ogni gene è situato su un cromosoma, ma i cromosomi sono in coppie e dunque di ogni gene abbiamo due copie che si definiscono “omologhe” perché identiche e deputate alla medesima funzione). Questa ipotesi avrebbe trovato conforto in studi successivi di biologia molecolare che non solo avrebbero consentito l’identificazione del gene colpito con il gene Rb1 (regolatore della proliferazione cellulare), ma anche la scoperta di geni simili a Rb1 la cui funzione sarebbe appunto quella di reprimere la proliferazione cellulare, impedendo la trasformazione della cellula normale in cellula tumorale; tali geni furono successivamente definiti “Tumor Suppressor Genes” (TSG o geni soppressori del cancro).
Con un semplice esercizio di logica si può dimostrare che l’ipotesi genetica NON E’ un’ipotesi eziologica, ossia non ci dice nulla sulle cause del retinoblastoma; infatti, se diciamo che il retinoblastoma è “causato” da una mutazione che colpisce i due alleli omologhi del gene Rb1, non stiamo dicendo nulla sulle vere “cause” della malattia, ma, più semplicemente, constatiamo che il gene Rb1 può essere mutato in alcuni casi di malattia. La domanda diventa, allora: COSA CAUSA LA MUTAZIONE? E questa domanda diventa la negazione dell’idea stessa che l’agente causale del retinoblastoma possa essere una mutazione.
L’ipotesi genetica della genesi del retinoblastoma è, dunque, un nonsenso logico che, tuttavia, si è sviluppato ed accresciuto al punto da portare ricercatori e scienziati di tutti il mondo a vedere nel cancro una malattia “GENETICA”. Di fatto, il cancro non ha nulla a che vedere con le malattie genetiche propriamente dette anche se i geni sembrano coinvolti nella malattia. Si dovrebbe, più propriamente, parlare di malattia che può colpire i geni, più che DETERMINATA dai geni!. Ma in che modo, i geni sono colpiti? Il cancro, questa è nozione comune, è una malattia determinata da agenti ambientali che producono, nella cellula, una serie di cambiamenti che portano alla sua trasformazione in senso neoplastico; pensiamo, ad esempio, alla relazione tra il fumo della sigaretta e il tumore al polmone, all’esposizione all’asbesto che si associa al mesotelioma pleurico o ancora, alle radiazioni ionizzanti e ai vari tumori che esse possono determinare). Dopo Knudson e il retinoblastoma, tutto questo è stato, in qualche modo, stravolto e, da malattia legata ad insulti ambientali, il cancro è diventata malattia legata alle mutazioni genetiche: una mutazione genetica può determinare il cancro! Vero o falso?
Per quanto oceani di articoli e interi libri siano stati scritti sull’argomento, la mutazione genetica non è NÉ NECESSARIA, NÉ SUFFICIENTE  a determinare il cancro. Esistono, per esempio, sostanze cancerogene (la cui lista è troppo lunga per poter essere esaminata in dettaglio in questa sede) CHE NON SONO AFFATTO MUTAGENE (ad esempio: 1-4-diclorobenzene, alcuni immunosoppressori, alcuni metalli). Questi carcinogeni  (o cancerogeni) rappresentano l’evidenza che la mutazione in sé NON E’ AFFATTO “CONDICIO SINE QUA NON” per lo sviluppo di un tumore ed è chiara indicazione che i determinanti della trasformazione cellulare devono essere cercati altrove.  D’altra parte, l’ipotesi genetica del retinoblastoma, così come formulata da Knudson nel 1971 ed ancora da molti sostenuta ai giorni nostri, presenta una serie di incongruenze che la rendono totalmente inadeguata a spiegare alcuni dei più rilevanti aspetti clinici, biologici ed epidemiologici della malattia, cosi come illustrato in alcuni dei miei più recenti articoli scientifici [1 – 5] e confermato da uno dei maggiori studiosi internazionali della materia che, in una rassegna sul retinoblastoma, definisce “outstanding” (eccellenti) i miei articoli contro l’ipotesi genetica confermando la necessità di un cambio di paradigma [6]. Per brevità e chiarezza, non mi soffermo sugli aspetti più tecnici della questione che sono, comunque, ampiamente trattati nelle pubblicazioni elencate.
La tesi, per così dire, imposta dai maggiori ricercatori nel settore del  retinoblastoma è, dunque, quella in base alla quale una doppia mutazione che colpisca il gene Rb1 è responsabile dell’insorgenza del tumore e, sebbene anche questo sia contrario a logica e buon senso (due sole mutazioni appaiono largamente insufficienti a determinare una malattia come il cancro che, a detta della stragrande maggioranza dei ricercatori, e determinata, caso mai, da alterazioni multiple e spesso grossolane del genoma), questa sembra la tesi più largamente diffusa. Ma ci sono alcuni problemi:
1.  Il gene Rb1 è un gene “houskeeping”, ossia un gene la cui funzione viene utilizzata dalla maggior parte delle cellule umane, proprio perché coinvolto nel processo di controllo della proliferazione cellulare. Questo dato è convalidato dalla scoperta che mutazioni del gene Rb1 si ritrovano praticamente in tutti i tipi di tumore fino ad ora analizzati;
2.  Proprio per questo motivo, la ricerca e lo studio delle mutazioni di Rb1, non ha alcun senso PERCHÉ NON É SPECIFICA PER IL RETINOBLASTOMA! La ricerca delle mutazioni di Rb1 è stata usata per predire l’insorgenza del tumore  in membri di famiglie in cui era stata trovata una mutazione. Ma la mutazione che si trova, proprio perché non caratteristica del solo retinoblastoma, non ha alcun valore predittivo; non è, appunto, SPECIFICA!
3. Non solo! Mutazioni di Rb1 si possono ritrovare nei casi familiari, in cui altri membri della famiglia sono affetti; ma non si ritrovano nei casi sporadici (la maggior parte) e, ove si trovassero, esse sono, per quanto già detto, assolutamente prive di significato.
4. Le mutazioni di Rb1 sono, in realtà, il risultato di un processo che avviene a carico di un po’ tutte le cellule che, da normali, diventano tumorali e pertanto il loro valore predittivo è uguale a zero.
Ma se non è la mutazione, la causa del retinoblastoma, allora cosa determina la malattia?
E’ stato dimostrato che il retinoblastoma ha un’incidenza maggiore tra le popolazioni meno abbienti. In termini epidemiologici, questo significa che tra le cause possibili di malattia, devono essere presi in considerazione tutti i determinanti sociali ed economici più importanti, tra questi le infezioni (il virus HPV è stato dimostrato avere un ruolo potenziale), la nutrizione (deficit di fattori vitaminici possono giocare un ruolo) e tutte le condizioni di vita che possono condurre all’esposizione ad agenti dotati di potenziale cancerogenicità (radiazioni ionizzanti, inquinamento, pesticidi, tossici di varia natura e/o genere). In tale prospettiva, e senza dimenticare quanto affermato sul ruolo delle mutazioni genetiche, si inserisce il discorso dell’Epigenetica.
Tanto per adottare una definizione comprensibile e generale, l’Epigenetica, secondo Conrad Waddington, che ha per primo coniato il termine, è “…lo studio di tutte quelle interazioni esistenti, tra i geni e l’ambiente che li circonda, che conducono all’espressione del fenotipo” [7]. Per chiarezza, il genotipo è la nostra costituzione genetica, ossia la sequenza “nuda e cruda” di  basi del nostro DNA; mentre il fenotipo è il risultato finale di un certo genotipo; è evidente che questa distinzione viene fatta per enfatizzare il ruolo dell’ambiente nel determinare l’espressione fenotipica. In parole più semplici, se prendiamo due individui “clonati” e, come tali, derivanti da una stessa cellula (ossia da uno stesso DNA) oppure due gemelli monocoriali, MAI OTTERREMO DUE UINDIVIDUI IDENTICI perché il genotipo DA SOLO, non basta a determinare il fenotipo; il fenotipo, come bene afferma Waddington, è determinato dall’interazione del genotipo CON L’AMBIENTE; pertanto a interazioni diverse corrisponderanno fenotipi diversi, anche se il DNA di partenza E’ PERFETTAMENTE IDENTICO.
L’Epigenetica NON E’ UNA NUOVA SCIENZA. L’Epigenetica è il processo FISIOLOGICO attraverso il quale da una cellula uovo fecondata, OSSIA DA UN UNICO DNA, si forma un individuo con miliardi di cellule capaci di svolgere funzioni  totalmente diverse l’una dall’altra (pensate alle cellule cutanee e a quelle nervose, alle cellule muscolari e a quelle ossee, solo per citare qualche esempio); dal punto di vista della genetica esse hanno tutte lo stesso, identico DNA, ma la loro struttura e la loro funzione sono assolutamente diverse. QUESTO SI REALIZZA GRAZIE ALL’EPIGENETICA, ossia alla regolazione dell’espressione dei geni, MEDIATA DALL’AMBIENTE.
Ma quali sono gli aspetti fondamentali dell’Epigenetica che ci consentono, oggi, di affermare che il retinoblastoma è una malattia legata all’ambiente e non ai geni? E soprattutto, cosa cambia, nella prospettiva dei piccoli pazienti?
1. L’Epigenetica insegna che l’espressione di un gene può essere soppressa SENZA CHE VI SIA ALCUNA ALTERAZIONE STRUTTURALE DEL SUO DNA. In altri termini, è possibile che quei casi di retinoblastoma (la maggioranza) nei quali non si può evidenziare una mutazione a carico di Rb1, siano dovuti alla soppressione epigenetica del gene stesso. Il risultato finale è che manca il controllo di Rb1 sulla proliferazione cellulare, ma in questo caso, LA MUTAZIONE NON C’ É!
2. L’Epigenetica ci insegna che questa alterazione non strutturale (ma funzionale) del DNA, SI EREDITA DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE. Dunque possono esistere (e di fatto esistono) casi di retinoblastoma in cui il tumore sembra ereditato, ma in realtà non si eredita alcuna mutazione: ciò che si eredita, è l’assetto epigenetico alterato che produce il fenotipo tumorale!
3. L’Epigenetica ci insegna che un assetto epigenetico alterato (dall’ambiente) può essere modificato e corretto; il tumore diventa, così, una malattia reversibile, una volta individuata la causa o impiegate le sostanze volte a correggere l’alterazione epigenetica. Questo non era possibile nel caso della mutazione che, essendo un’alterazione strutturale del DNA, non può essere “riparata”; anche per questo, la teoria della mutazione non è in grado di spiegare come un tumore possa regredire spontaneamente (diversi sono i casi di retinoblastoma regrediti spontaneamente, descritti nella letteratura scientifica), mentre la teoria Epigenetica può farlo!
4. L’assetto epigenetico si modifica precocemente, dopo l’esposizione ad agenti tossici ambientali e, poiché tale assetto può, oggi, essere abbastanza agevolmente studiato in laboratorio, esiste una possibilità di diagnosi precoce più precisa e circostanziata di quella basata sull’analisi delle mutazioni!
5. L’assetto Epigenetico delle cellule tumorali, come detto, può essere modificato, sia correggendo la causa “ambientale” delle modificazioni epigenetiche, sia intervenendo con tutta una categoria di nuovi farmaci in grado, appunto, di modulare l’espressione epigenetica di diversi geni.
Ancora molto si può dire riguardo alla modulazione epigenetica dell’espressione fenotipica, incluso il fatto che, come ho sottolineato nel mio più recente articolo, i dati riguardo alla necessità di cambiare paradigma, erano sotto gli occhi di tutti, già da diversi anni. Di particolare rilievo, il fatto, noto ormai da decenni, che la prevalenza del retinoblastoma tra le popolazioni dei Navajo d’America è notoriamente doppia rispetto al resto del mondo; “stranamente”, nessuno ha mai notato che le popolazioni Navajo d’ America hanno rappresentato, fin dagli anni ’40, la principale forza lavoro nelle miniere d’uranio del Nevada e che molti dei loro villaggi sono stati edificati in prossimità delle zone di estrazione.
In conclusione, l’Epigenetica non solo ci riconduce alla ragione e quindi alla ricerca delle cause di tumore nell’ambiente che circonda (con il conseguente monito a preservare al meglio lo stesso, per una migliore qualità della vita), ma, spostando l’accento sulle alterazioni funzionali dell’espressione dei geni implicati nel tumore, ci offre una concreta speranza per la diagnosi e la cura dei nostri bambini.
Ovviamente, il tutto richiede l’impegno di risorse umane ed economiche, dal momento che il settore di ricerca è vastissimo e siamo solo all’inizio di un lungo viaggio!


BIBLIOGRAFIA

1. D.  Mastrangelo,  S.  De  Francesco,  A.  Di  Leonardo,  L. Lentini, T. Hadjistilianou, “Does the Evidence Matter in Medicine?  The  Rb  Paradigm,”  International  Journal  of Cancer, Vol. 121, No. 11, 2007, pp. 2501-2505
2. D.  Mastrangelo,  S.  De  Francesco,  A.  Di  Leonardo,  L. Lentini,  T.  Hadjistilianou,  “Rb  Epidemiology:  Does the Evidence Matter?” European Journal of Cancer, Vol. 43, No. 10, 2007, pp. 1596-603
3. D.  Mastrangelo,  T.  Hadjistilianou,  S.  De  Francesco,  C. Loré, “Retinoblastoma and the Genetic Theory of Cancer: an  Old  Paradigm  Trying  to  Survive  to  the  Evidence,”  Journal of Cancer Epidemiology, Vol. 2009, 2009
4. D.  Mastrangelo,  S.  De  Francesco,  A.  Di  Leonardo,  L. Lentini, T. Hadjistilianou, “The Retinoblastoma Paradigm Revisited,”  Medical  Science  Monitor,  Vol.  14,  No.  12, 2008, pp. 231-240
5. D. Mastrangelo, A. Di Leonardo, L. Lentini, S. De Francesco, T. Hadjistilianou, “Missing Evidences in Cancer Genetics:  The Retinoblastoma  Paradigm,”  Cellular  Oncology, Vol. 30, No. 6, 2008. pp. 509-510)
6. Schefler AC, Abramson DH. Retinoblastoma: what is new in 2007-2008. Current Opinion in Ophthalmology 2008 Nov;19(6):526-34
7. C.  H.  Waddington,  “Organisers  and  Genes,”  Cambridge University Press, Cambridge, 1940

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